Taiwan membro Oms?

Costituirebbe uno strappo insanabile con Pechino, ma restituirebbe grande prestigio a un’appannata organizzazione

Gli Stati Uniti hanno annunciato di aver triplicato il numero di dosi di vaccini per Taiwan. “La nostra donazione di 2,5 milioni di dosi di vaccino è in arrivo”, ha scritto sabato scorso il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price in un tweet. Formosa è il Paese che durante la prima fase dell’epidemia, lo scorso anno, ha gestito meglio di chiunque altro la diffusione del Covid-19. Grazie a un attento tracciamento dei focolai e a un’organizzazione puntuale degli spazi pubblici e privati, il Governo di Taipei è riuscito persino a evitare un vero e proprio lockdown, lasciando aperte quasi tutte le attività (inclusi i ristoranti!)

A metà maggio però i contagi sono iniziati a salire e hanno trovato il Paese impreparato davanti alla diffusione della variante Delta. Mentre il Governo focalizzava la sua strategia su due vaccini sviluppati in casa dalla United Biomedical Inc. e dalla Medigen Vaccine Biologics Corp, ancora in fase di sperimentazione, i contagi si sono moltiplicati, lasciando la popolazione scoperta e senza un vero piano vaccinale.

Da qui la corsa all’acquisto di vaccini esteri e la richiesta di aiuto. I primi soccorsi sono arrivati dal Giappone, che all’inizio di giugno ha inviato a Taipei 1,24 milioni di dosi di AstraZeneca. Un aiuto è arrivato anche dallo strumento Covax dell’Organizzazione mondiale della sanità. Washington, che all’inizio era stata tiepida, annunciando la donazione di 750.000 dosi, ci ha ripensato e ha triplicato l’offerta.

La battaglia per l’Oms

Intanto, mentre il Governo prova a correre ai ripari, i suoi Ministri continuano la propria battaglia contro l’esclusione dall’Organizzazione mondiale della sanità, imposta dal Governo di Pechino. “Come organo sanitario professionale internazionale”, si legge nella nota del Ministero degli Esteri, “l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe servire la salute e il benessere di tutta l’umanità e non capitolare agli interessi politici di alcuni membri”.

Parole di supporto sono arrivate anche dall’amministrazione Usa, per bocca del segretario di Stato Antony Blinken: “Non vi è alcuna giustificazione ragionevole per la continua esclusione di Taiwan. Le sfide per la salute e la sicurezza sanitaria globale non rispettano i confini né riconoscono le controversie politiche”.

In effetti, l’Oms, a torto o a ragione, ha molto da recuperare in termini reputazionali. Forse, uno strappo che la porti a includere Taiwan nel novero dei membri, con la ovvia argomentazione della necessità di una gestione globale di sfide globali come quella che stiamo portando faticosamente avanti contro la peggiore pandemia della storia, restituirebbe centralità e credibilità all’Organizzazione e ai suoi vertici. Se non ora, quando?