Pechino reprime anche la stampa a Hong Kong

La repressione a Hong Kong isola sempre di più Pechino. E l’avvento di Biden non muterà lo scenario…

Il magnate di Hong Kong e attivista per la democrazia, Jimmy Lai, è comparso venerdì in tribunale ammanettato e affiancato da un agente di polizia. Editore della testata Apple Daily, attraverso il suo giornale, Lai non ha mai risparmiato critiche nei confronti del Governo di Pechino e della chief executive di Hong Kong, Carrie Lam. Il tycoon era già stato arrestato in agosto, quando oltre 100 poliziotti hanno perquisito la redazione dell’Apple Daily, alla ricerca di documenti non specificati. Sui propri canali social, il giornale ha trasmesso in diretta streaming le immagini delle perquisizioni, mentre Lai veniva arrestato.

L’editore è tornato in carcere dai primi di dicembre, quando è stato preso in consegna per una presunta frode commerciale, sui termini di locazione della sede del giornale.

Venerdì scorso invece Lai è stato formalmente accusato di collusione con forze straniere, ai sensi della nuova legge sulla sicurezza nazionale, entrata in vigore a giungo scorso, che punisce gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere, compiuti nell’ex colonia britannica. Le accuse si baserebbero su tweet e commenti pubblicati da Lai e su interviste con i media stranieri.

All’editore è stata negata la libertà provvisoria e rischia almeno quattro mesi di custodia cautelare, in attesa del processo di aprile. Trenta persone sono già state arrestate a Hong Kong per aver violato la legge sulla sicurezza nazionale. Una dopo l’altra, le figure emblematiche del movimento democratico di Hong Kong sono state arrestate o hanno dovuto lasciare il Paese.

La legge viene usata pesantemente contro la stampa libera e quella straniera. Nel fine settimana, è stata fermata a Pechino la giornalista di Bloomberg Haze Fan, accusata di aver preso parte ad attività che “mettono in pericolo la sicurezza”.

Dopo che Lai è stato accusato venerdì, il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, ha twittato il suo sostegno, definendolo un eroe e riferendosi alle accuse come “un affronto alle persone che amano la libertà”.

Questo di Hong Kong è uno dei casi più spinosi per la dirigenza cinese, che ne accentua l’isolamento internazionale, che Pechino sta conoscendo da quando è scoppiata la crisi pandemica, che in tutto il mondo, più o meno apertamente, viene attribuita all’irresponsabilità della classe dirigente cinese e alla sua mancanza di trasparenza.

Troppi sono i fronti di crisi che la Cina sta riaprendo o tenendo caldi: con l’India, con Giappone e Australia, con Taiwan e con l’America trumpiana. Considerando che il confronto Usa-Cina non è destinato ad ammorbidirsi con l’avvento di Biden, almeno nella sostanza, Xi Jinping avrebbe bisogno di uscire dall’angolo in cui si è chiuso e la repressione di Hong Kong non è certo lo scenario ideale.