La domanda non è perché (e se) Suleimani doveva essere eliminato. Ma soprattutto perché mai gli Usa hanno chiuso senza motivo il processo di apertura di Teheran al mondo, da loro stessi avviato
Decine di migliaia di persone vestite a lutto hanno riempito ieri le strade di Mashhad e Ahvaz in Iran, per rendere omaggio a Qassem Suleimani, il comandante militare iraniano assassinato due giorni fa da un attacco di un drone americano in Iraq.
Mentre da vari Paesi crescono gli inviti alla moderazione, l’omicidio di Soleimani sta scatenando una drammatica escalation di tensioni in tutto il Medio Oriente.
Ieri il Parlamento iracheno ha approvato una risoluzione che chiede al Governo di espellere le truppe straniere dal Paese.
“Il Governo iracheno deve lavorare per far cessare la presenza di qualsiasi contingente militare straniero sul territorio iracheno e deve fare in modo che non facciano uso del territorio, dello spazio aereo e di quello marittimo dello Stato” si legge nella risoluzione.
In un discorso al Parlamento, l’ex premier Abdul Mahdi, dimessosi a novembre a causa delle proteste anti-governative, ha affermato che il declino dello Stato Islamico, sul quale Baghdad ha dichiarato la vittoria nel dicembre 2017, ha posto fine al motivo principale del presenza di forze statunitensi nel Paese. Stop dunque alla missione internazionale contro l’Isis a guida Usa. La mossa riguarda circa 5.200 soldati americani presenti nel Paese, ma anche gli altri contingenti stranieri tra cui gli oltre 900 italiani.
La Nato intanto, immediatamente dopo l’uccisione di Soleimani, aveva già sospeso le missioni di addestramento in Iraq. Il segretario generale Jens Stoltenberg ha confermato di aver parlato telefonicamente con il segretario alla Difesa americano Mark Esper “a seguito di recenti sviluppi”. Oggi, nel pomeriggio, è atteso un nuovo vertice con gli ambasciatori dei 29 Paesi membri.
Intanto, preoccupazione e inviti alla moderazione arrivano da tutti i Paesi europei. Il Ministro degli Esteri Ue Josep Borrell ha invitato a Bruxelles il suo omologo iraniano Mohammad Javad Zarif. Borrell, in una telefonata con Zarif, ha esortato Teheran a evitare una escalation nella regione, cercando di preservare l’accordo sul nucleare. Intanto, l’emittente iraniana Al Arabiya fa trapelare che il Paese non intende rispettare più alcun limite previsto dall’accordo sul nucleare del 2015. L’emittente ha citato una dichiarazione dell’amministrazione del Presidente Hassan Rohani, secondo cui il Paese arricchirà l’uranio “senza restrizioni in base alle sue esigenze tecniche”.
La successione degli eventi negli ultimi giorni è la logica conseguenza della rottura ingiustificata dell’accordo sul nucleare e dello scongelamento parziale delle sanzioni all’Iran. Il dibattito si sta animando tra pro-trumpiani e suoi oppositori, ciascuno schierato a favore dell’omicidio di Suleimani o contro, in modo pregiudiziale. Sforzandoci di concentrarci solo sugli scenari internazionali, non possiamo non sottolineare che noi europei ci sentiamo molto più insicuri con un alleato storico come gli Stati Uniti che sembra aver seppellito virtù tipiche da grande potenza: moderazione, equilibrio, gestione negoziale dei conflitti, promozione di accordi che aprano mercati e relazioni. Da quando Trump ha assunto la guida del suo Paese, improvvisazione e schizofrenia sembrano governare le iniziative sugli scenari internazionali, con matrici poco chiare e continuamente in movimento.
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