La stretta di Pechino su Hong Kong

Inevitabile, viene approvata la nuova normativa illiberale. Noi stampa internazionale dobbiamo vigilare e tenere alta l’attenzione. Ma non facciamo confusione con il Covid…

Sabato scorso è stata approvata all’unanimità dal Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo in Cina la controversa legge sulla sicurezza nazionale, che prevede pene molto pesanti per chi sarà accusato di sovversionesecessioneterrorismo e di collusione con le forze straniere. Il provvedimento, nato con l’intento di frenare le proteste che per un anno hanno caratterizzato la vita di Hong Kong, di fatto pone fine alla dottrina “un Paese, due sistemi”, il modello adottato da Pechino per l’ex colonia britannica, dopo il ritorno di Hong Kong alla Cina nel 1997, con lo status di regione amministrativa speciale. Il provvedimento, in vigore già dal 1° luglio, limiterà pesantemente la libertà di opinione e critica oltre che la possibilità di manifestare. Chi dovesse essere accusato dei reati previsti dal provvedimento, rischia pene diverse, in base all’offesa: dai 3 ai 10 anni di reclusione, nei casi più gravi l’ergastolo.

Su Twitter, l’attivista pro-democrazia, Joshua Wong, scrive parole durissime sulla nuova legge che “segna la fine della Hong Kong che il mondo conosceva. Con poteri spazzati via e una legge indefinita, la città diventerà uno stato di polizia segreta”. Intanto Nathan Law, uno dei più noti attivisti delle recenti proteste, ha annunciato di aver lasciato la città dopo l’entrata in vigore della nuova legge.

Mentre alcuni giornalisti stranieri, che hanno coperto le proteste per diverse testate internazionali, stanno prendendo in considerazione l’idea di lasciare Hong Kong, per non incappare nella repressione cinese, sempre più nei guai appare la stampa locale. I responsabili di alcune testate dell’ex colonia hanno dichiarato al Guardian che stanno valutando la possibilità di trasferire i propri server all’estero. L’approvazione della legge ha provocato proteste da parte di molti Paesi occidentali. Il premier britannico Boris Johnson ha dichiarato di voler modificare la propria legislazione in materia di immigrazione, al fine di estendere la cittadinanza inglese ai residenti di Hong Kong.

Gestione autoritaria e poco trasparente dell’emergenza pandemica vengono ormai messe sotto accusa dalla stampa internazionale, prendendo spunto proprio dalla crisi di Hong Kong, che viene usata quale segno incontestabile di soppressione delle libertà civili e di libera espressione del pensiero.

La comunità internazionale fa bene a seguire con attenzione e aperta critica l’evoluzione della tutela delle libertà a Hong Kong, ma non mescolerei la gestione dell’ex colonia britannica con i presunti occultamenti dei fatti all’origine del Covid-19, tutti da dimostrare…