Dopo due anni dal brutale omicidio Kashoggi, la giustizia saudita conferma di essere una barzelletta
Sono passati due anni da quando il giornalista Jamal Khashoggi è stato assassinato all’interno del consolato saudita nella città turca di Istanbul.
Il 59enne editorialista del Washington Post è stato ucciso il 2 ottobre 2018 e il suo corpo, fatto a pezzi da ufficiali sauditi, non è mai stato ritrovato. Di certo, da quel consolato, in cui era entrato per ottenere dei documenti per sposarsi, il giornalista saudita, non è più uscito vivo. Jamal Khashoggi sapeva di essere nel mirino dell’intelligence del suo Paese, per le critiche costanti che rivolgeva alla politica di Mohammed bin Salman (il sovrano de facto del regno), ma non poteva immaginare che sarebbe stato raggiunto fuori dal suo Paese, in un luogo istituzionale.
A settembre è terminato in Arabia Saudita il processo farsa contro otto persone, condannate a pene da un minimo di 7 a un massimo di 20 anni. Le autorità del Paese non hanno rivelato l’identità degli imputati. La relatrice speciale dell’Onu Agnès Callamard ha definito il processo “né equo, né giusto, né trasparente” e senza “alcuna legittimità giuridica o morale”.
Il team delle Nazioni Unite che si occupa delle indagini sugli omicidi extragiudiziali, in un rapporto investigativo pubblicato nel giugno 2019, ha segnalato di avere trovato “prove credibili” che MBS e altri alti funzionari sauditi fossero responsabili dell’omicidio. Lo stesso ha fatto la CIA.
In Turchia, a luglio, è iniziato un altro procedimento, che vede invece incriminati venti cittadini sauditi, tra cui due fedelissimi di MBS.
Sotto accusa, l’ex vice capo dell’intelligence dell’Arabia Saudita Ahmed al-Asiri, che avrebbe istituito una squadra di sicari e pianificato l’omicidio del giornalista, e l’ex consigliere della Corte Reale Saud bin Abdullah al-Qahtani, che avrebbe guidato il gruppo di killer.
Tutti i presunti responsabili però sono imputati in contumacia: Riad nega le estradizioni.
Il rinnovamento politico e sociale avviato da MBS è drammaticamente compromesso dall’efferatezza di un gesto inammissibile in un mondo civile. È la comunità internazionale ha il dovere di vigilare…